Ho concluso da poco il romanzo di Sibilla Aleramo (alias Marta Felicina Faccio) "Una donna". Un romanzo che mi ha coinvolto, straziandomi e deliziandomi al tempo stesso.
Lo stile con cui la Aleramo descrive parte della propria vita è uno di quelli che non ti lascia mai e che, una volta terminato il racconto, ti rimane dentro per diversi giorni.
E', inoltre, uno stile che molte scrittrici e molti scrittori moderni non hanno, eppure il racconto in sé sembra faccia parte della attualità dei nostri giorni. In realtà, quel che più mi sorprende è pensare che l'anno di pubblicazione reciti 1906.
Un secolo fa.
Cent'anni.
Vi prego, leggetelo (se vi va, se potete). Il modo in cui scrive quel che scrive potrebbe benissimo appartenere ad una donna d'oggi.
E' meraviglioso, è la bellezza della letteratura, della letteratura ai suoi massimi livelli nelle mani di una donna forte, coraggiosa, bella dentro e fuori e che ha fatto la storia (che lo si voglia o meno).
Di seguito, trascrivo alcuni dei pezzi più emozionanti del libro.
Amare e sacrificarsi e soccombere! Questo il destino suo e forse di tutte le donne?
Io avevo bisogno di ammirare innanzi di amare. Accettando l'unione con un essere che m'aveva oppressa e gettata a terra, piccola e senza difesa, avevo creduto di ubbidire alla natura, al mio destino di donna che m'imponesse di riconoscere la mia impotenza a camminar sola.
Talvolta, al mattino, abbiamo la sensazione nitida d'aver passato una notte densa di sogni e di fantasmi grandiosi, e d'aver vissuto in fuggevoli istanti di dormiveglia una vita profonda, ma non riusciamo a ricostruire le visioni né a rifare i pensieri notturni; e ci accorgiamo poi che ogni nostra nuova azione veramente essenziale non stupisce noi stessi perché la nostra intima sostanza ne aveva avuto l'avviso.
Alfine mi riconquistavo, alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar da sola, di lottare da sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d'incontaminato, di bello; alfine arrossivo dei miei inutili rimorsi, della mia lunga sofferenza sterile, dell'abbandono in cui avevo lasciata la mia anima, quasi odiandola. Alfine risentivo il sapore della vita, come a quindici anni.
Povera vita, meschina e buia, alla cui conservazione tutti tenevan tanto! Tutti si accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici: ognuno portava la sua menzogna, rassegnatamente.
[...] Quasi tutti i poeti nostri hanno finora cantato una donna ideale, che Beatrice è un simbolo e Laura un geroglifico, e che se qualche donna ottenne il canto dei poeti nostri è quella ch'essi non potettero avere: quella ch'ebbero e che diede loro dei figli non fu neanche da essi nominata. Perché continuare ora a contemplar in versi una donna metafisica e praticare in prosa con una fantesca anche se avuta in matrimonio legittimo? Perché questa innaturale scissione dell'amore? Non dovrebbero i poeti per primi voler vivere una nobile vita, intera e coerente alla luce del sole?
La giustizia non può venir soffocata, perché arde.
Questi sono solo alcuni dei frammenti più belli e intensi dell'intero romanzo, ma, come per qualsiasi altro libro, il consiglio è quello di leggerlo per intero e scoprire, in ognuno, quel che la Aleramo ha in serbo per voi lettori.
Le corrispondenze
Le corrispondenze fanno parte di noi esseri umani, della nostra vita terrena: breve, sì, ma semplicemente intensa.
martedì 19 gennaio 2016
sabato 2 gennaio 2016
Anamnesi
Figura soave ti osservo
danzare al chiaror
di luna.
E danzando osservo i
tuoi occhi brillare
al cielo,
che beato sorride
alla tua bellezza,
oh mia
splendida figura divina.
Giacché figura più eterna
il mondo non vide
splendere su di esso,
ora tu, mia principessa, 'l
cuor tumulti de la terra
ed ogni Creatura
acclama, gioiosa, a
festa,
la vista di cotanto
amore e di innata tenerezza.
lunedì 2 novembre 2015
I colori dell'autunno
Le vie della città
si riempiono
di foglie colorate
e
i bambini,
allegri,
giocano divertiti.
Lo scricchiolio
delle foglie
sotto i miei piedi
mi
accompagna in un
nuovo mondo
dove tutto è più
gioioso,
tutto è più
bello.
Il calpestio di
quest'anime decedute,
ma non brutte,
è una sinfonia di
Natura
che non stanca,
che avvolge.
E mentre il vento,
fresco,
autunnale,
mi sferza il volto
e gli occhi,
ripenso
all'infanzia perduta.
E ai colori
dell'autunno.
lunedì 21 settembre 2015
Dibattito sull'amore
Di seguito trovate la tenzone (opera di origine provenzale nella quale due o più poeti si scambiano strofe e poesie per discorrere e dibattere su argomenti di tipo filosofico e non solo) tra Giacomo da Lentini, Iacopo Mostacci (falconiere di Federico II) e Pier della Vigna (funzionario e consigliere dello stesso re).
La prima parte vede il sonetto iniziale di Mostacci in cui egli si chiede cosa sia veramente l'amore. Mostacci, come ripete nel sonetto stesso, non riesce a dare una spiegazione (né tantomeno una definizione) a questo potere così grande, così travolgente. Per tale ragione decide di rivolgersi agli altri due, chiedendo loro di aiutarlo.
La seconda parte include la risposta del Della Vigna il quale, a mio modo di vedere, dà una spiegazione meravigliosa dell'Amore e della sua stessa sostanza.
Tralascerò, invece, la terza parte, quella in cui il poeta principale, Giacomo, offre la propria definizione.
Il motivo di tale scelta sta nel fatto che, poiché credo che il secondo sonetto sia la parte più bella in assoluto, è altrettanto giusto dare spazio all'origine di questi versi così belli (vale a dire il sonetto del Mostacci). Escludo, dunque, quello del poeta siciliano semplicemente per una semplice e personalissima "preferenza" che mi vede più vicino alle parole del Della Vigna.
Iacopo Mostacci
Solicitando un poco meo savere
Solicitando un poco meo savere
e con lui mi vogliendo dilettare,
un dubio che mi misi ad avere
a voi lo mando per determinare.
On'omo dice ch'amor à potere
e li coraggi distringe ad amare,
ma eo no li lo voglio consentire,
però ch'amore no parse ni pre.
Ben trova l'omo una amorositate
la qual par che nasca di piacere,
e zo vol dire omo che sia amore;
eo no li saccio altra qualitate,
ma zo che è, da voi voglio audire:
però ven faccio sentenzïatore.
Pier della Vigna
Però ch'Amore no si pò vedere
Però ch'Amore no si pò vedere
e no si tratta corporalmente,
manti ne so di sì folle sapere
che credeno ch'Amore sia nïente;
dentro dal cor signoreggiar la gente,
molto maggiore pregio deve avere
che se 'l vedessen visibilemente.
Per la vertute de la calamita
como lo ferro atra' no si vede,
ma sì lo tira signorevolmente;
e questa cosa a credere mi 'nvita
ch'Amore sia, e dàmi grande fede
che tutor sia creduto fra la gente.
La prima parte vede il sonetto iniziale di Mostacci in cui egli si chiede cosa sia veramente l'amore. Mostacci, come ripete nel sonetto stesso, non riesce a dare una spiegazione (né tantomeno una definizione) a questo potere così grande, così travolgente. Per tale ragione decide di rivolgersi agli altri due, chiedendo loro di aiutarlo.
La seconda parte include la risposta del Della Vigna il quale, a mio modo di vedere, dà una spiegazione meravigliosa dell'Amore e della sua stessa sostanza.
Tralascerò, invece, la terza parte, quella in cui il poeta principale, Giacomo, offre la propria definizione.
Il motivo di tale scelta sta nel fatto che, poiché credo che il secondo sonetto sia la parte più bella in assoluto, è altrettanto giusto dare spazio all'origine di questi versi così belli (vale a dire il sonetto del Mostacci). Escludo, dunque, quello del poeta siciliano semplicemente per una semplice e personalissima "preferenza" che mi vede più vicino alle parole del Della Vigna.
Iacopo Mostacci
Solicitando un poco meo savere
Solicitando un poco meo savere
e con lui mi vogliendo dilettare,
un dubio che mi misi ad avere
a voi lo mando per determinare.
On'omo dice ch'amor à potere
e li coraggi distringe ad amare,
ma eo no li lo voglio consentire,
però ch'amore no parse ni pre.
Ben trova l'omo una amorositate
la qual par che nasca di piacere,
e zo vol dire omo che sia amore;
eo no li saccio altra qualitate,
ma zo che è, da voi voglio audire:
però ven faccio sentenzïatore.
Pier della Vigna
Però ch'Amore no si pò vedere
Però ch'Amore no si pò vedere
e no si tratta corporalmente,
manti ne so di sì folle sapere
che credeno ch'Amore sia nïente;
dentro dal cor signoreggiar la gente,
molto maggiore pregio deve avere
che se 'l vedessen visibilemente.
Per la vertute de la calamita
como lo ferro atra' no si vede,
ma sì lo tira signorevolmente;
e questa cosa a credere mi 'nvita
ch'Amore sia, e dàmi grande fede
che tutor sia creduto fra la gente.
lunedì 10 agosto 2015
Affinità sentimentali
Ovvero come, nonostante seicento anni di distanza, l'uomo sia sempre lo stesso e conservi, dentro di sé, quelle affinità sentimentali che rendono possibili certe bellezze letterarie.
In poche parole, quella vicinanza e quella somiglianza tra Giacomo da Lentini (autore del primo 1200) e Giacomo Leopardi (a proposito di affinità...) che emergono facilmente e sensibilmente tra le righe di un verso e le immagini di una poesia.
Nei post precedenti ho copiato il secondo Giacomo, autore molto più recente, certo, eppure così profondo e per niente semplice.
Adesso, invece, voglio mostrare (e mostrarvi) il Giacomo più anziano (quello che visse prima di Dante) e che diede il via non solo alla scuola e alla letteratura siciliana, ma a quella italiana in generale (pensate che fu lui il creatore del sonetto).
Se non fosse per delle differenze linguistiche ovvie (dati i 6 secoli di distanza), sono sicuro che non sarebbe così facile riconoscere a quali dei due appartenga una o un'altra poesia.
Adesso, però, taccio. E' tempo di dar voce al Giacomo siciliano.
Madonna, dir vo voglio
Madonna, dir vo voglio
como l'amor m'à priso,
inver' lo grande orgoglio
che voi, bella, mostrate, e no m'aita.
Oi lasso, lo meo core,
che 'n tante pene è miso
che vive quando more
per bene amare, e teneselo a vita!
Dunque mor' e viv'eo?
No, ma lo core meo
more più spesso e forte
che non faria di morte naturale,
per voi, donna, cui ama,
più che se stesso brama,
e voi pur lo sdegnate:
amor, vostra 'mistate vidi maie.
Lo meo 'nnamoramento
non pò parire in detto,
ma sì com'eo lo sento
cor no lo penseria né diria lingua;
e zo ch'eo dico è nente
inver' ch'eo son distretto
tanto coralemente:
foc'aio al cor non credo mai si stingua,
anzi si pur alluma:
perché non mi consuma?
La salamandra audivi
che 'nfra lo foco vivi stando sana;
eo sì fo per long'uso,
vivo 'n foc'amoroso
e non saccio ch'eo dica:
lo meo lavoro spica e non ingrana.
Madonna, sì m'avene
ch'eo non posso avenire
com'eo dicesse bene
la propia cosa ch'eo sento d'amore:
sì com'omo in prudito
lo cor mi fa sentire,
che giamai no 'nd'è quito
mentre non pò toccar lo suo sentore.
Lo non-poter mi turba,
com'on che pinge e sturba,
e pure li dispiace
lo pingere che face, e sé riprende,
che non fa per natura
la propïa pintura;
e non è da blasmare
omo che cade in mare a che s'aprende.
Lo vostr'amor che m'àve
in mare tempestoso,
è sì como la nave
ch'a la fortuna getta ogni pesanti,
e campan per lo getto
di loco periglioso:
similemente eo getto
a voi, bella, li mei sospiri e pianti,
che s'eo no li gittasse
parria che soffondasse,
e bene soffondara,
lo cor tanto gravara in suo disio;
che tanto frange a terra
tempesta che s'aterra,
ed eo così rinfrango:
quando sospiro e piango posar cio.
Assai mi son mostrato
a voi, bella spietata,
com'eo so' innamorato,
ma creo ch'e' dispiacerï' a voi pinto.
Poi ch'a me solo, lasso,
cotal ventura è data,
perché no mi 'nde lasso?
Non posso, di tal guisa Amor m'à vinto.
Vorria ch'or avenisse
che lo meo core 'scisse
come 'ncarnato tutto,
e non facesse motto a voi, sdegnosa;
ch'Amore a tal l'adusse
ca, se vipera i fusse,
natura perderia:
a tal lo vederia, fora pietosa.
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Londra, Regno Unito
sabato 18 luglio 2015
I tramonti di casa mia
Se c'è una cosa che mi manca dell'Italia, di casa mia, sono i tramonti.
Ed in questo momento, ovviamente, a mancarmi tantissimo sono i tramonti estivi.
Premetto che anche qui, nella lontana Inghilterra, i tramonti esistono e sono eccezionali (ma ogni cosa che sia naturale e richiami la Natura lo è).
Eppure, quei tramonti estivi di casa mia, col caldo a volte insopportabile, hanno una carica sensuale ed emotiva unica.
Sì, i tramonti di casa mia sono sensuali, sono frizzantini, sono tesi.
C'è tensione, nell'aria: c'è tensione, c'è attesa, ci sono aspettative, pensieri.
Sogni.
Una carica, ripeto, che si accumula ed esplode nei colori magici che solo il sole, col cielo, possono donare.
Sì, i tramonti di casa mia sono così e per nulla al mondo li cambierei.
Qui si può apprezzare il verde che circonda il tutto; il vento leggero che ti accarezza la pelle; le nuvole dalle forme incredibili e un cielo forse più limpido, più blu.
Ma lì, a casa mia, i tramonti sono diversi.
I tramonti anticipano la notte d'estate, una notte che può essere divertimento, relax, passione, Eros.
Ecco perché i tramonti sono sensuali: perché anticipano quel che verrà, quel che si spera avvenga, quel che non si sa, non si dice, però magari...
Così, dopo aver assaporato e sognato con un tramonto in riva al mare, la sera prende il sopravvento e con essa una miriade di sensazioni che a volte stentano ad esplodere perché tutte, insieme, si accavallano, si calpestano, fanno a botte per emergere dal cuore, dall'anima.
Eccoli, i tramonti di casa mia: l'afa che lentamente si placa, le onde del mare che risuonano incessantemente, il cielo che si fa di mille colori e l'aria, quell'aria, che fa pensare a tante cose, eppur niente dice.
E poi viene la sera.
Ed in questo momento, ovviamente, a mancarmi tantissimo sono i tramonti estivi.
Premetto che anche qui, nella lontana Inghilterra, i tramonti esistono e sono eccezionali (ma ogni cosa che sia naturale e richiami la Natura lo è).
Eppure, quei tramonti estivi di casa mia, col caldo a volte insopportabile, hanno una carica sensuale ed emotiva unica.
Sì, i tramonti di casa mia sono sensuali, sono frizzantini, sono tesi.
C'è tensione, nell'aria: c'è tensione, c'è attesa, ci sono aspettative, pensieri.
Sogni.
Una carica, ripeto, che si accumula ed esplode nei colori magici che solo il sole, col cielo, possono donare.
Sì, i tramonti di casa mia sono così e per nulla al mondo li cambierei.
Qui si può apprezzare il verde che circonda il tutto; il vento leggero che ti accarezza la pelle; le nuvole dalle forme incredibili e un cielo forse più limpido, più blu.
Ma lì, a casa mia, i tramonti sono diversi.
I tramonti anticipano la notte d'estate, una notte che può essere divertimento, relax, passione, Eros.
Ecco perché i tramonti sono sensuali: perché anticipano quel che verrà, quel che si spera avvenga, quel che non si sa, non si dice, però magari...
Così, dopo aver assaporato e sognato con un tramonto in riva al mare, la sera prende il sopravvento e con essa una miriade di sensazioni che a volte stentano ad esplodere perché tutte, insieme, si accavallano, si calpestano, fanno a botte per emergere dal cuore, dall'anima.
Eccoli, i tramonti di casa mia: l'afa che lentamente si placa, le onde del mare che risuonano incessantemente, il cielo che si fa di mille colori e l'aria, quell'aria, che fa pensare a tante cose, eppur niente dice.
E poi viene la sera.
lunedì 22 giugno 2015
Leopardi: tenero amante
Da "Il pensiero dominante"
[...] Tu sola fonte
D'ogni altra leggiadria,
Sola vera bealtà parmi che sia [...].
[...] Bella qual sogno,
Angelica sembianza,
Nella terrena stanza,
Nell'alte vie dell'universo intero,
Che chiedo io mai, che spero
Altro che gli occhi tuoi veder più vago?
Altro più dolce aver che il tuo pensiero?
[...] Tu sola fonte
D'ogni altra leggiadria,
Sola vera bealtà parmi che sia [...].
[...] Bella qual sogno,
Angelica sembianza,
Nella terrena stanza,
Nell'alte vie dell'universo intero,
Che chiedo io mai, che spero
Altro che gli occhi tuoi veder più vago?
Altro più dolce aver che il tuo pensiero?
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