lunedì 21 settembre 2015

Dibattito sull'amore

Di seguito trovate la tenzone (opera di origine provenzale nella quale due o più poeti si scambiano strofe e poesie per discorrere e dibattere su argomenti di tipo filosofico e non solo) tra Giacomo da Lentini, Iacopo Mostacci (falconiere di Federico II) e Pier della Vigna (funzionario e consigliere dello stesso re).

La prima parte vede il sonetto iniziale di Mostacci in cui egli si chiede cosa sia veramente l'amore. Mostacci, come ripete nel sonetto stesso, non riesce a dare una spiegazione (né tantomeno una definizione) a questo potere così grande, così travolgente. Per tale ragione decide di rivolgersi agli altri due, chiedendo loro di aiutarlo.

La seconda parte include la risposta del Della Vigna il quale, a mio modo di vedere, dà una spiegazione meravigliosa dell'Amore e della sua stessa sostanza.

Tralascerò, invece, la terza parte, quella in cui il poeta principale, Giacomo, offre la propria definizione.

Il motivo di tale scelta sta nel fatto che, poiché credo che il secondo sonetto sia la parte più bella in assoluto, è altrettanto giusto dare spazio all'origine di questi versi così belli (vale a dire il sonetto del Mostacci). Escludo, dunque, quello del poeta siciliano semplicemente per una semplice e personalissima "preferenza" che mi vede più vicino alle parole del Della Vigna.


Iacopo Mostacci
Solicitando un poco meo savere

Solicitando un poco meo savere
e con lui mi vogliendo dilettare,
un dubio che mi misi ad avere
a voi lo mando per determinare.
On'omo dice ch'amor à potere
e li coraggi distringe ad amare,
ma eo no li lo voglio consentire,
però ch'amore no parse ni pre.
Ben trova l'omo una amorositate
la qual par che nasca di piacere,
e zo vol dire omo che sia amore;
eo no li saccio altra qualitate,
ma zo che è, da voi voglio audire:
però ven faccio sentenzïatore.

Pier della Vigna
Però ch'Amore no si pò vedere

Però ch'Amore no si pò vedere
e no si tratta corporalmente,
manti ne so di sì folle sapere
che credeno ch'Amore sia nïente;
dentro dal cor signoreggiar la gente,
molto maggiore pregio deve avere
che se 'l vedessen visibilemente.
Per la vertute de la calamita
como lo ferro atra' no si vede,
ma sì lo tira signorevolmente;
e questa cosa a credere mi 'nvita
ch'Amore sia, e dàmi grande fede
che tutor sia creduto fra la gente.